L’utilizzo di materiali di bassa qualità e alcune particolari stampe dei booklet hanno abbassato la vita dei CD a meno di 10 anni: chi ha speso un sacco di soldi per collezionare dischi anche rari potrebbe subire pesanti perdite.
Sembrano piccole macchioline o smagliature cromatiche sulla superficie del disco, segni dell’età che a prima vista non pregiudicano il funzionamento del supporto stesso ma non è così.
Il fenomeno viene chiamato “disc rot” ed è una sorta di cancro dei dischi, CD e DVD, che colpiscono molti supporti dopo circa una decina di anni. Eppure ci hanno sempre raccontato che il CD stampato, rispetto a quello masterizzato che si deteriora, è il supporto eterno, indistruttibile, tanto da poter essere collezionato e tramandato di generazione in generazione. Qualche collezionista ha iniziato a scoprire, sulla sua pelle, il problema: CD-ROM di videogiochi, ancora nel cellophane, presentano sulla superficie piccole macchine che rendono parte del disco illeggibile, e neppure la levigatura della superficie con paste abrasive risolve il problema.
La stessa cosa si sta verificando su molti CD Audio, anche incisioni di qualità: una situazione questa ancora più drammatica se si pensa che i dischi più fragili sono proprio quelli più vecchi, i più ambiti dai collezionisti, realizzati con lacche e materiali che non sono duraturi come quelli di oggi. Cosa porta i vecchi CD a morire in questo modo, rendendo illeggibile il contenuto nel caso di dischi dati e creando errori di lettura nel caso di compact disc audio?
Le cause sono diverse, dai materiali utilizzati per la stampa all’azienda che li ha prodotti. Emblematico il caso della Philips and Dupont Optical, una delle stamperie di dischi più grandi d’Europa che dal 1988 al 1993 ha stampato dischi proteggendo il layer inciso con una lacca di bassa qualità permeabile ad alcuni composti dello zolfo, gli stessi che paradossalmente sono stati usati per stampare il booklet. Nel caso di molti dischi, anche sigillati, si è verificata una corrosione dell’alluminio che ha portato ad un fenomeno detto “bronzing”: il CD, solitamente silver, ha iniziato a virare al bronzo per poi diventare illeggibile.
PDO dal 1991 al 2006 su richiesta degli utenti sostituiva i dischi stampati con nuove copie, ma ai tempi quasi nessuno ha fatto richiesta, anche perché i CD funzionavano benissimo: oggi parte di quei dischi sono inservibili e nessuno può far nulla.Una maledizione per i collezionisti e anche un assist allo streaming: spesso chi supporta servizi come Netflix o Spotify si sente rispondere dagli amici che nulla è come possedere un disco fisico, meglio se una edizione da collezione. Oggi paradossalmente chi ha Netflix o Spotify può ascoltare e vedere contenuti anche datati, mentre chi ha speso migliaia di euro per una collezione di dischi potrebbe trovarsi di fronte ad una amarissima sorpresa. Avete una collezione di dischi a cui tenete particolarmente? Un bel controllo non guasterebbe.
di Roberto Pezzali
articolo originale: http://www.dday.it