La musica torna a girare. A inizio estate la multinazionale Sony ha diffuso la notizia che dal prossimo anno aprirà una nuova industria di dischi in vinile in Giappone per far fronte alla sempre costante crescita della domanda. È una notizia sorprendente, come se la Ford annunciasse di voler aprire una fabbrica di carrozze.
Il colosso dell’intrattenimento aveva chiuso il suo ultimo centro di produzione di vinili giapponese nel 1989. Se la seconda vita del vinile ormai da qualche anno non è più una notizia, forse la rinascita di un’industria che si credeva morta lo è.
LA SVOLTA DEL 1930. La storia del disco inizia alla fine dell’Ottocento. Thomas Edison inventò il fonografo e i cilindri sonori, ma la nascita di un supporto piatto e orizzontale fu dovuta a un americano di origini tedesche chiamato Emile Berliner. I dischi furono usati prima come componenti per giocattoli sonori, solo successivamente per la riproduzione di brani musicali. Il vinile come lo conosciamo oggi, il 33 giri, comparve nel 1930 su iniziativa della casa discografica Rca Victor. Il lancio commerciale, in concomitanza con la grande depressione, fu un fallimento. Fu la prima delle tante morti apparenti del disco. Solo dopo la guerra i 33 giri e poi i più maneggevoli 45 giri si affermarono come i principali strumenti per l’ascolto privato della musica, accompagnati successivamente, a partire dalla fine degli Anni 60, dalle musicassette. Gli Anni 70 segnarono il trionfo del vinile. Sul mercato americano i record di vendite si registrarono nel 1973 per i 45 giri (228 milioni di unità vendute) e nel 1978 per gli LP/EP a 33 giri (341,3 milioni di unità). A livello internazionale l’anno d’oro fu il 1981: secondo la International Federation of the Phonographic Industry nel mondo si arrivarono a vendere 1,1 miliardi di album.
E IL TRACOLLO DEL 2005. Nel 1982 in Giappone venne lanciato il primo compact disc, un supporto che conquistò rapidamente il mercato dando il via all’era digitale della musica e condannando il vinile a una morte che hai tempi venne data per scontata. Le vendite di 33 giri nel 1989 a livello globale si erano più che dimezzate. Nel 1995 l’industria che anni prima aveva superato il miliardo di unità scese a 33 milioni. Il punto più basso si toccò negli anni 2005–2006: 800 mila copie vendute all’anno negli Usa e 3 milioni nel mondo. Ma anche questa volta il vinile si rifiutò di morire. Il ritorno del 33 giri è stato lento ma costante e oggi i numeri segnalano la risurrezione di un settore produttivo. Nel 2016 negli Usa si sono venduti 13,1 milioni di vinili, in Gran Bretagna 3,1 milioni. Le previsioni dicono che nel 2017 nel mondo si arriveranno a vendere 40 milioni di unità e il fatturato complessivamente ritornerà a superare il miliardo di dollari. Secondo la società di consulenza e analisi finanziare Deloitte è una piccola parte di un mercato (vendite fisiche e download digitali) che muove 15 miliardi di dollari all’anno a livello globale, ma è comunque un settore che è stato in grado di registrare negli ultimi anni crescite a due cifre.
Qualcuno si domanda se questa non sia solo una moda destinata a concludersi o se comunque dopo questi anni di crescita il settore non troverà un fisiologico assestamento (negli Usa in effetti le vendite di vinili sono cresciute meno degli anni passati), ma oggi le poche fabbriche che producono vinili funzionano a pieno regime. In Europa le principali industrie di Lp sono la Gz Media nella Repubblica Ceca e la olandese Record Industry. Hanno una capacità produttiva di 100 mila unità al giorno e non riescono a stare al passo con gli ordini. Sul sito web la Record Industry, che ha 33 presse in funzione, dichiara di non essere in grado di garantire tempi certi di produzione visto il carico di lavoro. La Gz Media è una vecchia industria nata ai tempi dell’ex regime comunista vicino a Praga. Una decina di anni fa si era ridotta ad avere 50 dipendenti e una produzione ridotta all’osso. Oggi è leader a livello internazionale. Ha 2 mila lavoratori e ha prodotto 25 milioni di unità nel 2016 con un fatturato cresciuto del 40%.
L’ALLEANZA CON LO STREAMING. Anche l’Italia è al centro di questo boom. Secondo un’indagine condotta da Deloitte per la Federazione Industria Musicale Italiana (Fimi) il vinile è in un forte trend positivo con quasi 10 milioni di euro di ricavi, una crescita del 52% e una quota nel mercato discografico che in tre anni è passata dal 3 al 6%. Secondo la Fimi, si è realizzata un’alleanza strategica, anni fa impensabile, tra streaming e disco in vinile: «I consumi sono ormai sensibilmente cambiati con i fan che si muovono spesso integrando modelli di accesso e fruizione musicali differenti. Pensiamo ad esempio, alla diffusione dello streaming e del vinile tra i teenager: capaci di una dieta musicale che coniuga allo stesso tempo l’ascolto di brani su servizi online, con l’acquisto di una versione limitata ed esclusiva del vinile». Per il mondo della musica il successo del vinile è un esempio di “win-win”. Il consumatore acquista un prodotto da collezione, l’industria musicale immette sul mercato un supporto che i clienti sono disposti a pagare di più e non è soggetto a pirateria, gli artisti incassano ottime percentuali sulle vendite. E tutti sono contenti.
UN REVIVAL DOPO L’ALTRO. In Italia esiste una sola fabbrica che produce industrialmente dischi in vinile: è la Phono Press di Settala, in provincia di Milano. Nata più di 30 anni fa è stata acquistata nel 2008 da un ex bancario padovano, Filippo De Fassi Negrelli, che ha scommesso tutto su un settore ai tempi di nicchia. Oggi stenta a far fronte alla domanda in crescita. Ha cinque presse automatiche e una capacità produttiva massima di circa 5 mila dischi al giorno. Si sta attrezzando anche per un altro revival, quello delle musicassette. La Phono Press infatti è in società con la Tape it Easy di Tribiano, sempre nel Milanese, che produce cassette confezionate su commissione. Fondata da due 30enni calabresi, Fabio Ludica e Cristian Urzino, in poco meno di due anni è passata da una produzione di 500 cassette al mese a una produzione di 1.500 a settimana. Costruirsi un futuro guardando al passato. Alla faccia dell’industria 4.0.
di Guido Mariani
articolo originale: http://www.lettera43.it