Una fama non esattamente lusinghiera, una direttiva europea che impone la fine del monopolio, l’innovazione digitale che consente di rivoluzionare i metodi di contabilizzazione: la società pubblica che si occupa di raccogliere e distribuire i proventi del diritto d’autore vive il suo momento più difficile. Da Gigi D’Alessio a Fedez, si moltipicano gli artisti che scelgono di passare alla concorrenza. Eppure, malgrado gli evidenti difetti, forse non tutto è da buttare.
L’ANTICO CARROZZONE PERDE I PEZZI – (di Cristina Nadotti)
ROMA – La Siae prova a rifarsi il look, ma dopo anni di colpevole opacità l’impresa è titanica. Proprio quando la nuova presidenza di Filippo Sugar punta tutto su tre parole magiche (efficienza, trasparenza e sistemi di controllo), l’azione aggressiva di Soundreef comincia a portarle via associati e ad accendere i fari sulle sue falle. A scoperchiare il vaso di Pandora è stato alla fine dello scorso aprile il rapper Fedez, quando ha annunciato che sarebbe passato alla società di gestione dei diritti indipendente, seguito da musicisti più o meno noti che in questo modo hanno anche colto al volo l’occasione per qualche riga di stampa. Per quanto variegati siano i motivi che spingono alcuni artisti a lasciare la Siae, restano le zone d’ombra di un ente pubblico con uno status ambiguo e una lunga storia di cattive gestioni che ancora appesantiscono la macchina.
Il privilegio del monopolio. La Siae è un “ente pubblico autonomo”, cioè un ente che pur rivestendo caratteristiche di perseguimento di funzioni pubbliche, agisce in forma di azienda, secondo regole civilistiche e con caratteristiche imprenditoriali. In particolare, quel che in quest’ultimo periodo viene imputato alla Siae è di essere dotata di poteri autoritativi e privilegi di legge, primo fra tutti, appunto, il monopolio dell’intermediazione dei diritti d’autore. In altre parole, in Italia è soltanto la Siae che incassa quanto dovuto per i diritti d’autore, in base a una legge, la 633 del 1941, che pur subendo nel corso degli anni varie modifiche ha mantenuto l’assetto monopolistico del mercato.
Ora, però, sia una direttiva europea, sia il parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, indicano che questo monopolio limita la libertà e deve quindi finire. In particolare, l’Antitrust lo scorso 6 giugno ha auspicato “che la riforma di tale regime monopolistico venga accompagnata da un ripensamento dell’articolazione complessiva del settore, al fine di garantire una tutela adeguata agli autori nonché agli utilizzatori intermedi e finali”.
La riforma. E qui interviene il legislatore. Perché in fin dei conti la Siae fa quello che la legge le consente di fare, più o meno bene (e vedremo in seguito cosa le viene più spesso imputato). Il testo di legge che include anche la riforma della Siae, già licenziato dalle commissioni di Camera e Senato, dovrebbe aver recepito la direttiva europea e il parere dell’Antitrust e a breve il monopolio Siae potrebbe finire. E qui si apre un nuovo scenario, nel quale il mutamento andrà gestito in maniera oculata. Osserva l’avvocato Paolo Marzano, partner della “Legance Avvocati Associati” e presidente del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore: “Siae è una collecting generalista, con marcate funzioni pubblicistiche. In altre parole, gestisce, come generalista, più repertori. I più forti economicamente ‘supportano’, attraverso un micro welfare interno, quelli più deboli. Un dato non sempre riscontrabile nelle realtà estere e giustamente evidenziato dal ministro Franceschini nella sua audizione alla Camera. Detto ciò, iniziamo a vedere quali miglioramenti la Direttiva apporterà nel panorama italiano una volta attuata. E facciamolo con serenità, senza dar vita ad una caccia alle streghe o a crisi di autocommiserazione, tipici mali dell’Italia; perché poi facciamo più guai di quanti ne avremmo dovuto risolvere in partenza”.
Marzano, come altri, ritiene che sia un bene l’esistenza di un ente pubblico per tutelare gli autori, a patto che questo ente sia capace di riformarsi: “Credo che molto sia stato fatto in questi anni; non ci dimentichiamo che per lungo tempo la Siae è stata commissariata, a più riprese; ciò a dimostrazione del fatto che aveva dei problemi, inutile tentare di negarlo. Ora vediamo, con l’attuazione della Direttiva, le nuove norme cosa le imporranno ancora di fare. Senz’altro occorrerà predisporre un sistema statale di vigilanza sulle collectings italiane, che sorvegli con puntualità il loro operato, ma senza interferire sulle loro scelte. La Direttiva dedica poche norme sul tema sorveglianza. Ecco, qui credo che il governo possa fare molto rispetto a quanto avvenuto in passato. Proviamo insomma ad aiutare anche dall’esterno i titolari dei diritti ad essere assistiti nella miglior maniera possibile”.
“OPACA E VORACE”, L’EREDITA’ DI UNA BRUTTA FAMA – (di Cristina Nadotti)
ROMA – Un carrozzone, un buco nero che risucchia soldi, un vecchio apparato dove la mancanza di trasparenza è diventata arte per meglio perseguire fini non sempre chiari. O chiari solo per alcuni. Avere la Siae come bersaglio è fin troppo facile, perché, anche ora che la gestione Sugar cerca di cambiare rotta, alcuni scivoloni sono imperdonabili e denotano un modo di intendere il proprio ruolo basato su vecchi privilegi. Un esempio: se un autore vuole sapere come funziona Soundreef e digita la parola su Google appare come primo risultato “Borderò Digitale SIAE – Portale Associati, Anticipi, ecc – siae.it”. Ovviamente non un errore dell’algoritmo, ma un primato ottenuto dietro pagamento. Usando cioè i soldi degli associati. Per carità, l’investimento pubblicitario rientra nelle prerogative di ogni società, ma per Siae c’è quella parola “pubblico” a definire il suo stato, che cozza con certi mezzucci. Peccato veniale, ma ecco le altre falle del meccanismo Siae, come le illustrano i suoi associati.
Non tutti sono uguali. All’interno della Siae vale ancora il voto per censo. Roba da pre rivoluzione francese, difficile da immaginare ai giorni nostri, eppure sia editori che autori hanno diritto a un voto a testa e in più a un voto per ogni euro incassato dal monte dei diritti d’autore distribuiti ogni anno dalla società. In altre parole, chi già prende più soldi riesce di solito a eleggere i propri rappresentanti, che sono poi coloro che hanno già un peso all’interno dell’associazione.
La mancanza di trasparenza. Riguarda in pratica ogni atto della Siae, dalle assunzioni all’assegnazione dei compiti interni. Tutto regolare, fatto in osservanza di quanto stabilito dallo statuto e dalle prerogative degli organi dirigenziali, ai quali è permesso di nominare anche chi li deve controllare. Con il “Piano per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza della società” approvato lo scorso 31 gennaio la Siae ha “provveduto a nominare quale Responsabile della prevenzione della corruzione e per la trasparenza il consigliere di gestione, avv. Domenico Luca Scordino”. In pratica, il controllore è anche il controllato e chi deve essere controllato nomina il suo controllore.
Balzelli iniqui. È giusto che un autore riceva un compenso per il suo lavoro, meno chiaro è chi e quanto debba pagare. Basta navigare un po’ sul sito della Siae per rendersene conto. Mettiamo di dover fare una festa privata e voler mettere della musica. Se è un compleanno e si invitano fino a 200 persone si pagano 79 euro, a patto che si festeggi entro i 15 giorni precedenti o successivi la data di nascita del festeggiato. Se invece è una festa di qualunque altro tipo si pagano 99 euro fino a 200 invitati, 149 oltre i 200. Indispensabile mettere all’ingresso qualcuno che sappia contare. Stesso discorso per il matrimonio, che costa 299 euro oltre i 200 invitati e peggio per voi se la vecchia zia, la numero 201, poi non si presenta. La nuova gestione Sugar anticipa di voler semplificare questa e altre riscossioni con il borderò forfettario, mentre non si è espressa sui pagamenti dovuti anche in attività benefiche, un contenzioso che è stato oggetto di numerose interrogazioni parlamentari.
Le quote associative. I compositori oltre i 30 anni pagano una quota di iscrizione forfettaria di 150 euro, a fronte di situazioni molto diverse: basta pensare a un autore che ha inciso un disco con una decina di brani messo sullo stesso piano di Mogol che ha 20.000 pezzi tutelati. Molti sostengono che sarebbe più giusto pagare il rinnovo in proporzione al repertorio tutelato. A fronte di quote uguali, gli autori lamentano anche scarso o impalpabile aiuto e supporto ai compositori minori.
Le difficoltà dei gestori di locali. Per Fabrizio Croce, organizzatore di eventi e gestore di un locale in Umbria, uno dei problemi principali è non poter conoscere in anticipo quanto spenderà per una manifestazione. “Difficile o impossibile calcolare prima i costi da sostenere e i criteri con cui essi vengono conteggiati. Inoltre manca un archivio digitale pubblico delle opere tutelate cui accedere per conoscere i repertori tutelati e quelli invece di dominio pubblico, cosa che sarebbe di grande utilità per le manifestazioni che non hanno scopo di lucro o per chi fa musica a livello amatoriale, in quanto consentirebbe di farlo senza dover incorrere in sanzioni”. E ancora, secondo Croce è “illegittima la tassa di filodiffusione laddove le tv e le radio (sia etere che web) già versano annualmente i diritti d’autore e i dischi (Cd/Vinili/Dvd) trasmessi in ascolto hanno comunque un bollino che attesta l’avvenuto versamento dei diritti”. Anche a questo proposito Siae sostiene che il nuovo regime forfettario renderà più semplici questi pagamenti, benché resterà il nodo di sapere come verranno poi ripartiti i proventi del forfait tra i soci.
I rendiconti illeggibili. Tra gli artisti passati di recente da Siae a Soundreef c’è anche il rapper Kento, che spiega così la sua scelta: “Pur avendo una laurea in Legge, ho serie difficoltà a leggere i malloppi di rendicontazione della Siae. Mi aspetto di poter accedere online alla mia posizione e di poter avere, rapidamente e senza dover rifare l’esame di diritto commerciale, le informazioni di cui ho bisogno, che sono sostanzialmente tre: ‘Hai fatto questi concerti – passaggi in radio; hai guadagnato questa somma; ti sarà accreditata entro questo giorno’. Con Siae non ne sono mai stato capace. Ho studiato bene Soundreef prima di affidare loro i miei diritti e, in un certo senso, anche la mia credibilità e la mia immagine. Mi sembra che il servizio che offrono sia molto vicino a quello che sto cercando. Mi sembra di avere persone dall’altro lato del telefono o della email, e non una struttura elefantiaca a cui non interesso minimamente”.
Kento è arrivato a questa decisione con difficoltà: “Non è stata una scelta che ho preso a cuor leggero, visto che non sono un fautore del libero mercato, specialmente per quanto riguarda la musica, un ambito che dovrebbe essere letto e regolato con una prospettiva sociale e non economica”, ma quanto lamenta a proposito dei proventi dal diritto d’autore è sottolineata da molti iscritti, frustrati dall’impossibilità di sapere quanto stanno ricevendo in cambio di una quota associativa, quella sì, dall’importo sicuro.
Le tutele scarse. In generale, è parere comune degli associati minori, a fronte di una quota associativa i servizi che si ricevono in cambio sono pochi. Soprattutto, una società di autori dovrebbe aiutare ad emergere attraverso i canali di informazione e diffusione ai quali Siae potrebbe accedere in via preferenziale. Anche qui, la gestione Sugar ha annunciato nei giorni scorsi un accordo “con la Società di Mutuo Soccorso Cesare Pozzo per offrire ai propri iscritti e ai mandatari la possibilità di sottoscrivere piani di assistenza sanitaria integrativa a condizioni particolarmente vantaggiose”. Inoltre promette, con un comunicato stampa, di continuare “nel proprio processo di riforma ed efficientamento al fine di essere sempre più strumento moderno di tutela del diritto d’autore e al tempo stesso esempio di one stop shop di offerta legale di contenuti”. Si vedrà anche con la nuova legge, ma certo, leggere termini come “efficientamento” e “one stop shop” non prepara all’ottimismo.
A CACCIA DI UN NUOVO LOOK TRA LUCI E OMBRE – (di Filippo Santelli)
ROMA – “Digli che non percepisci compenso come presidente”. La nuova consulente per la comunicazione di Siae, esperta nella gestione di situazioni di emergenza, allunga un foglio verso Filippo Sugar. Vuole assicurarsi che ricordi davanti alle telecamere che per la sua funzione ha rinunciato allo stipendio. Ecco il nuovo messaggio che cerca di far passare la Società italiana autori ed editori: efficienza e trasparenza. Il tentativo di liberarsi dall’immagine di baraccone politicizzato che anni di mala gestione e commissariamenti hanno dipinto. Fino a qualche mese fa per un giornalista sarebbe stato difficile arrivare fin qua, al piano “direzione generale” di questo palazzone dell’Eur, in mezzo a tante altre società dalle sigle antiche e impolverate, dall’Inps all’Inail. Ora no, ora la Siae si apre. Sarebbe successo anche senza lo spettro della concorrenza?
“Io ho sempre lottato per cambiarla”, dice Sugar, 44 anni, figlio di Caterina Caselli, direttore della casa discografica di famiglia e, dal luglio scorso, il più giovane presidente della storia Siae. Il suo impegno è agli atti. Già nel 2010 intervistato da Repubblica lanciava un ultimatum: basta inefficienze, la società deve adeguarsi all’epoca digitale. Appello che oggi assomiglia davvero a un’ultima spiaggia. Concorrenti come la startup innovativa Soundreef hanno strappato a Siae star del calibro di Fedez e Gigi D’Alessio, proponendo una ripartizione dei diritti completamente analitica: un passaggio della canzone uguale un pagamento. Mentre la direttiva europea Barnier, che il Parlamento sta recependo, sancisce la libertà per gli artisti di scegliere a quale società di raccolta affidare i propri diritti. Secondo molti, quasi tutti i partiti e l’Antitrust, deve significare liberalizzazione. La fine del monopolio che una legge del 1941, unico caso in Europa insieme alla Cechia, assegna alla Siae.
“Anche senza esclusiva non cambierebbe nulla, non c’è spazio in questo mercato per la concorrenza tra più soggetti”, è la prima risposta di Sugar. Per raccogliere i diritti d’autore ci vuole una rete di agenti sul territorio che costa troppo perché un privato ci provi. Un monopolio “naturale”, come lo definisce la teoria economica: in fondo anche in Francia, dove l’omologa Sacem non ha un’esclusiva di legge, ne viene riconosciuta una di fatto. In epoca digitale però le cose cambiano. Ci sono sempre i piccoli bar, le feste private e le emittenti locali: Siae riceve ogni anno un milione e mezzo di borderò cartacei. Ma una parte sempre maggiore della musica, dai grandi concerti alle radio nazionali, dalle televisioni ai centri commerciali, e ovviamente il web, è ormai online, monitorabile attraverso dei software automatici. E’ su questo mercato che si sono fatti avanti i concorrenti di Siae, molto più pronti a investire in tecnologia. “Abbiamo un’agenda digitale che vale 16 milioni di euro in due anni”, replica Sugar. Nello specifico però l’unica novità è il borderò digitale per i concerti, con ripartizione analitica. Negli altri casi la spartizione dei proventi resta su base statistica e secondo formule, denunciano molti autori, specie i minori, del tutto oscure. C’è spazio per la concorrenza allora: “Stiamo confrontando un Airbus con delle biciclette”, la liquida Sugar, alludendo agli 83mila associati italiani di Siae contro le poche migliaia di Soundreef. Biciclette che fanno paura però, visto che la Società ha deciso di comprare su Google le parole chiave dei suoi avversari, “Soundreef” e “Patamu”, per piazzarci sopra la propria pubblicità.
E allora se la posizione ufficiale è “non ci immischiamo con le scelte del Parlamento”, dietro le quinte la società sta facendo pressione per difendere il monopolio. E il suo primo alleato, di peso, è il ministro della Cultura Dario Franceschini. “All’estero ci invidiano”, ha dichiarato di recente in audizione alla Camera. Argomentando che le società più grandi, in un mercato dove operano giganti come Google e Apple, difendono meglio gli interessi degli autori. Il ministro sposa una versione “restrittiva” della direttiva Barnier: la liberalizzazione è internazionale, i singoli Paesi possono scegliere di preservare il monopolio. Si accontenta di una riforma della Siae, che la renda più trasparente e competitiva. Sugar sta lavorando su questo, mostra i numeri del bilancio 2015. Le spese fisse sono più alte di quelle di Sacem, ma nell’ultimo anno sono rimaste costanti, 183 milioni di euro, a fronte di una raccolta di diritti salita del 16,8%, 704 milioni. Il sito è stato rinnovato, gli under30 ora non pagano iscrizione, a capo della sezione musica c’è un 32enne. “Il margine di intermediazione che incassiamo si è ridotto al 15,3 per cento medio, questo è quanto costiamo agli associati, del tutto in linea con i concorrenti esteri”, dice Sugar.
Il bicchiere però si può anche vedere mezzo vuoto. Gli oneri della struttura, 10 sedi regionali e 29 filiali, continuano a zavorrare il bilancio. I 1265 dipendenti costano in media 72mila euro ciascuno, livelli da Banca d’Italia. Il direttore generale Gaetano Blandini, il vero dominus della società visto che Sugar vive e lavora a Milano, è in carica dal 2009, un alto funzionario del ministero legato a Gianni Letta e nominato da Sandro Bondi, passato indenne attraverso inchieste, polemiche e commissariamenti. E gli investimenti tecnologici, come detto, sono ancora agli inizi. Anche per questo in molti ritengono che sia meglio lasciar fare al mercato, un’interpretazione della direttiva Barnier che porterebbe a limitare il monopolio della Siae alle parti di attività davvero non contendibili, come la raccolta offline. O a trasformarla una pura infrastruttura, un po’ come la rete elettrica o ferroviaria, a cui le singole società di raccolta private potrebbero poi appoggiarsi. O ancora in una autorità di vigilanza, con il compito di supervisionare e sanzionare gli operatori privati. Liberi tutti, modello anglosassone. Se non con questa direttiva, per cui la linea “morbida” sposata da Franceschini è destinata a passare, magari con un prossimo intervento di settore, come la proposta di legge presentata dal Movimento 5Stelle alla Camera.
Uno modello buono anche per l’Italia? La liberalizzazione dei diritti connessi, quelli dovuti a interpreti e esecutori, introdotta nel 2012 dal governo Monti in modo frettoloso e senza regole precise ha portato una grande confusione e accese lamentele. Più in generale, non è solo il ministro Franceschini a pensare che per l’Italia sia migliore un modello simile a quello francese, con un unico grande soggetto no profit che negozia in blocco l’intero repertorio nazionale. Nell’interesse degli utilizzatori, che avrebbero un solo interlocutore con cui interfacciarsi. E degli stessi autori: “Noi sosteniamo anche le discipline meno ricche come lirica o il teatro e non discriminiamo tra artisti maggiori e artisti minori”, spiega Sugar. Lasciando intendere che i privati si concentrerebbero solo sulla parte di mercato più remunerativa, i big della musica. Il fatto è che Siae, a parte citare i “60 mila artisti recipienti”, fatica a dimostrare di esercitare per davvero questa funzione redistributiva. Un po’ per la sua democrazia “a censo” voluta dallo stesso Sugar, che consegna un voto in più in assemblea per ogni euro di diritto incassato, consegnandone di fatto il controllo a una manciata di etichette e superstar. Con grosse lamentele, per esempio, da parte degli editori di libri, per cui è impossibile farsi sentire. E Un po’ perché, senza ripartizione analitica, Siae non è in grado di mostrare quanti dei diritti vengono distribuiti agli artisti “minori”. “Noi diciamo alti autori: questa è la vostra società, non è più quella di prima, venitela a scoprire”, conclude Sugar. La Siae prova ad aprirsi. Sperando che non sia troppo tardi.
FEDEZ: “IO SONO USCITO PER DARE UNA SCOSSA – (di Cristina Nadotti)
ROMA – La scelta di Fedez come un sasso nello stagno. Il rapper ribadisce che nel lasciare la Siae non aveva solo o soprattutto un interesse personale. “Sembra sempre che la mia scelta serva a demonizzare Siae, ma non è così – ci tiene a sottolineare il giovane artista che anche il prossimo anno sarà tra i giudici del talent XFactor – Penso che Filippo Sugar sia un ottimo esperto nel campo editoriale, essendo nato in una culla dell’editoria, e spero che la mia scelta porti a un dibattito sano, che faccia bene a tutti”.
Però quando ha annunciato di passare a Soundreef ha dato anche altre motivazioni, quali?
“Dopo quattro anni di attività pregnante sulla cresta dell’onda mi ero reso conto che qualcosa non andava, come penso si siano accorti tanti altri artisti. La Siae è un sistema parecchio impolverato, che ha radici antichissime e oltre a non aver subito uno svecchiamento ha dei problemi logistici di ripartizione. Come ho già avuto modo di dire, mi è arrivato un rendiconto Siae di due anni fa. Si sono giustificati dicendo che è relativo a un tipo di collecting più difficile da percepire perché riguarda l’attività in tv, ma sta di fatto che dall’altra parte ho scoperto una start up che promette cose diverse”.
Quali?
“Innanzitutto Soundreef ha una ripartizione e una collecting più veloce. Ma ci tengo a ribadire che la mia scelta non è dovuta soltanto alla convenienza, è anche un esperimento. So di avere un impatto mediatico di un certo tipo e sapevo che la mia scelta avrebbe acceso un riflettore. A me non interessa che Soundreef diventi la nuova Siae, mi interessa aver avviato un dibattito che attirasse l’interesse nell’opinione pubblica. Vorrei che privati e pubblico si confrontassero, ascoltassero l’uno le tesi dell’altro. In più, io non credo nei monopoli e nelle politiche proibizioniste, non funzionano”.
Questo dibattito e la concorrenza aiuteranno la Siae a rinnovarsi o non c’è speranza?
“Nel passato l’Italia aveva un monopolio sull’energia e quando si sono aperte le porte c’è stato un beneficio per i consumatori. La competizione porta le aziende a migliorarsi, il monopolio le porta a sedimentarsi”.
Se potesse dare un consiglio alla Siae per aiutare i suoi associati, cosa le suggerirebbe?
“Siae non dovrebbe avere fini di lucro, ma negli anni ha accumulato beni immobili per milioni di euro. Dovrebbe iniziare a renderne conto e metterli a disposizione degli associati per lavorare di più sul territorio. Quel che manca in Italia sono i luoghi di aggregazione, io so quanto sono importanti perché mi hanno dato un certo tipo di formazione e mi hanno tenuto lontano da un sacco di cose brutte. Quindi meno sotterfugi, più trasparenza e più lavoro sul territorio”.
IL VECCHIO MONOPOLIO MESSO IN CRISI DALLE APP – (di Filippo Santelli)
ROMA – Basta pensare a Shazam. La app che milioni di persone hanno sullo smartphone. Un orecchio in grado di riconoscere un brano, autore e titolo, semplicemente ascoltandone qualche nota. Sono tecnologie come questa che stanno cambiando il mercato della gestione dei diritti musicali. Rendendo online, digitale, automatizzato il processo di registrazione dei passaggi delle canzoni che fino a ieri era offline, fatto di carta, inchiostro e sudore umano. E permettendo a società innovative, come Soundreef o Patamu in Italia, di proporre una ripartizione analitica, anziché statistica, dei proventi: ogni utilizzazione di un brano genera il relativo pagamento per l’artista che lo ha composto. Tutto registrato, tutto trasparente.
Negozi e centri commerciali. Soundreef ha cominciato da lì, la musica di sottofondo diffusa dagli altoparlanti di supermercati e centri commerciali. Già dagli anni ’90 le grandi catene hanno delle radio “in store”, dei canali a circuito chiuso che trasmettono a beneficio dei clienti. Ogni canzone lascia un “log”, una traccia digitale: “Per una società di raccolta è possibile attaccarsi a questi circuiti e registrare tutto quello che viene suonato”, dice il fondatore di Soundreef Davide D’Atri. Con assoluta precisione.
I concerti e le discoteche. Per la musica dal vivo la chiave è il borderò digitale. Anziché compilare a mano la lista delle canzoni suonate, lo si fa su una piattaforma online. Già da diversi anni Patamu offre agli artisti un sistema online di “marcatura” delle proprie canzoni: una certificazione di paternità che l’autore ottiene caricando la traccia in Rete (anziché inviando un plico come previsto dalla Siae). Da qualche mese poi ha iniziato a riscuotere i diritti per i concerti live: “Gli artisti indipendenti compilano il borderò digitale e sono sicuri che venga corrisposto loro il dovuto”, spiega il fondatore Adriano Bonforti. Creando una piattaforma unica per tutti gli organizzatori di eventi sarebbe possibile spartire in maniera analitica i diritti tra tutti gli autori. E per le discoteche, aggiunge D’Atri, basta un piccolo device collegato ali piatti, in grado di riconoscere “con l’85% di accuratezza” i brani, anche mixati tra loro.
Radio, Tv e Internet. Le nuove piattaforme della musica online, come Deezer, Spotify o Youtube, hanno delle “Api”, delle interfacce a cui le società di collecting possono agganciarsi per ricevere tutti i dati, canzone per canzone. Ma è sulle “vecchie” emittenti, radio e televisioni, che il meccanismo alla Shazam, nella sua versione più evoluta, sta portando una vera rivoluzione. Esistono dei software sviluppati da quattro, cinque società in Europa che monitorano il flusso di ogni broadcaster e fanno l’accoppiamento con l’archivio musicale dei gestore di diritti, segnalando le singole canzoni di un artista. E mandando di fatto in soffitta le tabelle di programmazione che gli assistenti alla regia erano obbligati a compilare per poi spedirle, mesi dopo, alla Siae. Cosa resta offline quindi? Una parte minoritaria del mercato: feste di compleanno, matrimoni, piccoli esercizi. Ma non è difficile da immaginare che le società di gestione, insieme alle licenze, distribuiscano anche delle piccole macchinette in grado di “riconoscere” le canzoni”. Portando in Rete anche il tabaccaio o l’alimentari di Paese. Per le feste poi basterebbe davvero una app tipo Shazam, da tenere accesa mentre l’orchestra o lo stereo suonano. Dove il ruolo degli agenti Siae è più difficilmente sostituibile dalla tecnologia è invece nelle temute, soprattutto da chi organizza piccoli eventi, attività di ispezione e verifica (con eventuale sanzione). Sotto questo aspetto, anche le società innovative concordano nel dire che la struttura della Società autori e editori dovrebbe rimane, convertita ad un ruolo di vigilanza.
Il criterio di ripartizione. Anche la Siae, come tante aziende innovative, sta adottando alcune di queste tecnologie. Ha da poco introdotto un borderò digitale per gli eventi dal vivo, rispetto a cui promette una ripartizione analitica dei diritti. E ha chiuso un accordo con un’azienda spagnola che fa analisi delle tracce audio su radio e televisioni. “Ma non basta la parte di monitoraggio – dice D’Atri – se non la si combina a un criterio, e a un sistema tecnologico, di ripartizione analitica, che offre all’autore il dettaglio di ogni singolo passaggio”. E’ questa la novità che le startup promettono ai propri associati. E su cui la Siae non può, o non le vuole seguire.
SCONTENTI ANCHE GLI EDITORI: “COSì NON VA” – (di Filippo Santelli)
ROMA – “Ogni anno l’editoria italiana perde dai 50 agli 80 milioni di euro, ma noi siamo obbligati a restare con la Siae”. I diritti d’autore non sono solo affare da compositori e musicisti. Anche gli scrittori, e le case che li pubblicano, incassano ogni volta che una loro opera viene fotocopiata, prestata da una biblioteca oppure recitata in pubblico. O almeno dovrebbero, lamenta il presidente dell’Aie, l’associazione degli editori italiani, il 62 enne Federico Motta. Perché di raccogliere quei diritti la Siae si occupa molto poco: “Vogliamo che il monopolio venga abolito, poter scegliere la società a cui affidarci”.
Perché la raccolta Siae sui diritti dell’editoria non funziona?
“I numeri sono chiari: il settore incassa appena 4 milioni di euro l’anno in diritti, contro i 100 della Germania, i 90 del Regno Unito, i 37 dei Paesi Bassi. Le Siae funziona per la musica, ma la raccolta per la letteratura, più onerosa, semplicemente non viene fatta. Si tratta di visitare centinaia di copisterie e biblioteche”.
Perché il mondo della letteratura non si fa sentire in Siae?
“In assemblea il voto per censo (un voto per ogni euro di diritti incassato, ndr) ci penalizza. Mentre nel consiglio, l’organo decisionale, non abbiamo rappresentanti. D’altra parte la legge garantisce alla Siae il monopolio, quindi non possiamo affidarci a una società diversa. Nonostante la direttiva europea Barnier assicuri ai detentori dei diritti la libertà di scegliere da chi farsi rappresentare”.
Il mercato va liberalizzato?
“Dipende da cosa intendiamo per liberalizzazione. Avere diversi operatori a raccogliere i diritti creerebbe confusione per tutti. Una esclusiva può rimanere, ma bisogna permettere a noi detentori dei diritti, autori ed editori, di scegliere a chi affidarla, abolendo il monopolio legale che esiste solo in Italia e in Cechia”.
Ma quale forma dovrebbe avere questa società?
“Potrebbe essere anche la Siae, a patto che garantisca anche all’editoria la partecipazione ai processi decisionali. Ma certo funzionano meglio i sistemi dove i diversi diritti, quelli di musica, teatro, editoria, sono gestiti da società di raccolta diverse. L’Italia è l’unico paese con il Portogallo in cui fanno tutti capo allo stesso soggetto”.
Crede che se il monopolio fosse eliminato potrebbero davvero nascere società di riscossione alternative alla Siae? Non costa troppo organizzare una rete di raccolta?
“Io credo di sì. Se I’obiettivo è recuperare 40, 50 milioni di euro di diritti qualcuno può pensare di farlo. Ma l’aspetto essenziale è che non ci sia un obbligo, che ci venga lasciata la possibilità di decidere a chi affidarci”.
(articolo originale: http://inchieste.repubblica.it)